“Cane” è stata la mia prima vera parola. Non dico tanto per dirlo. L’amore per questi animali è nato insieme a me ed è stato quasi sempre corrisposto.
I cani della mia vita
Quando ero bambina, l’unico cane di “famiglia” era il caro vecchio Brandy, uno yorkshire piccolo e brontolone. Non esagero dicendo che probabilmente detestava quasi tutti gli esseri umani, ma io fortunatamente non facevo parte della lista. Questo amore me lo sono sempre conquistato: nonostante fosse cieco e mezzo sordo, quando sentiva il mio odore nei paraggi, iniziava ad abbaiare fortissimo dalla gioia. Sapeva che da lì a breve sarebbe successo qualcosa: nella sua bocca si sarebbe materializzato almeno un biscotto (forsè più di uno) e quello sarebbe stato il nostro piccolo segreto.
I cani della mia adolescenza, invece, sono stati Cane Mirò e Oscar, i compagni fedeli della mie migliori amiche. Cane Mirò era un lord inglese: un esemplare pacato, di quelli che pensano che correre come un pazzo o abbaiare ossessivamente non sia troppo di classe. La prima volta che l’ho visto, era talmente imbarazzato da questo nuovo incontro che si era auto relegato in un angolo, con il muso contro il muro. Di tanto in tanto si girava, incuriosito dai rumori, per fissare gli amici della sua padroncina, ma appena il suo sguardo si incrociava con qualcuno, si rimetteva subito a fissare la parete in cerca di coraggio. Oscar invece era il suo esatto opposto: casinista, per nulla timido, “canterino”. Durante le telefonate tra me e la mia migliore amica, penso che la frase più inflazionata fosse: “Cazzo Oscar”, perché si era buttato per terra e si rifiutava di camminare, o si era scagliato su qualche altro cane non di suo gradimento.
Poi è arrivato il turno di Anita, il mio primo “quasi cane”. Dico quasi perché lei non è mai stata davvero mia, anche se lo avrei tanto desiderato. Questa simpatica nonnina, era stata adottata dal fratello del mio compagno già adulta. Tra noi, è stato amore a prima vista. Ci capivamo con uno sguardo, ci aspettavamo durante il weekend reciprocamente. È stato il primo cane che ho portato al guinzaglio, a cui ho preparato da mangiare, che ho consolato durante i temporali. Quando io e il mio fidanzato ci siamo trasferiti nella nuova casa e ho dovuto lasciare Anita con il suo vero padrone, mi sono sentita strappare un braccio, anche se sapevo che fosse giusto così.
L’atto di coraggio
Ho deciso quindi di farmi coraggio e di provare ad adottare un cane tutto mio. Ho proposto al mio compagno tanti e tanti cuccioli, ma lui non sembrava avere le mie stesse intenzioni. “Il cane è un grosso impegno”, mi ripeteva sempre. Come dargli torto… Ma vivere con un cane era il mio sogno e ancora oggi, che ne conosco molto bene le fatiche, non mi pento della mia scelta.
Ho ricevuto due anni di rifiuti, fino a quando un giorno, non è arrivato sul mio profilo Facebook Gigi, un cucciolotto di quattro mesi, bianco, simil labrador. È stato un colpo di fulmine, non solo da parte mia, ma anche del mio fidanzato che per la prima volta ha deciso di appoggiarmi in questa decisione. L’iter per l’adozione di Gigi è partito regolarmente. Abbiamo fissato anche un appuntamento per conoscere il cane, ma due giorni prima, la volontaria che se ne occupava ci ha comunicato che Gigi era stato “selezionato” per essere la compagnia di un bambino con disabilità. La storia di questa amicizia mi ha commosso e quindi ho deciso di rinunciare alla sua adozione.
Gentilmente la volontaria mi ha inviato immediatamente tante foto di altri cagnolini in cerca di una famiglia. Altrettanto gentilmente le ho viste, un po’ sfiduciata dall’accaduto. Pensavo che la vicenda di Gigi fosse stata un segno del destino: forse non avrei mai dovuto avere un cane.
Mentre sfogliavo una trentina di foto su Whatsapp, è apparsa lei: Lady. Era in una posizione estremamente elegante, tipica dei cani da caccia. Immediatamente mi è saltata all’occhio la somiglianza con Zoe, il cane dei miei suoceri. Allora mi sono detta: “Forse non è detta l’ultima parola. Se anche il mio fidanzato nota questa cagnolina, Lady farà parte della nostra famiglia”. E così è stato: non solo il mio compagno l’ha vista tra mille, ma ha fatto anche il mio stesso commento: “Ehi, sembra Zoe in questa foto”. Il destino quindi aveva previsto per noi qualcosa di diverso, solo dopo molti anni avrei capito il perché.


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